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Dare un senso alla vita - C. Maestri
172 pp. - 18,00 €
Con foto a colori
Formato 15x22 cm
Testo in italiano
"Resterà sempre in me questo vento di gelo, questo odore di freddo, questo bianco mantello di neve che ricopre i miei sogni."
In quest'ultimo scritto il grande alpinista Cesare Maestri, soprannominato per anni Ragno delle Dolomiti, racconta la sua storia di alpinista e di uomo e ricorda i tanti amici, scalatori e non, che lo hanno accompagnato nella sua vita. Un testamento spirituale introspettivo e intimo che svela l'uomo dietro l'alpinista.
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Incontrai per la prima volta Cesare Maestri in una sua serata a Monselice nel novembre del 2000, o giù di lì, occasione in cui mi feci firmare il suo libro ormai introvabile "A scuola di roccia". A quel tempo avevo appena iniziato ad arrampicare e i racconti degli alpinisti mi affascinavano, me vedere i filmati di Maestri che sale e scende slegato la "Via delle Guide" (VI+) sulla parete est del Crozzòn di Brenta fu un'esperienza indelebile, accompagnata da due sue frasi che mi sono rimaste scolpite nell'animo: "
Il vero alpinista è quello che diventa vecchio" e "
Si nasce, si vive e si muore, tutto qui...".
Non ebbi più occasione di incontrarlo, fino al 10 giugno 2016, passeggiavo con il mio bambino di sette anni per Madonna di Campiglio in un tiepido pomeriggio assolato, quando ho visto un uomo anziano dal volto familiare, "bianco di antico pelo" direbbe Dante Alighieri, seduto su una panchina. Mi sono avvicinato e ho chiesto "Lei è Cesare Maestri?!!", "Si", mi risponde. Non ho potuto fare a meno di chiedergli di sedermi con lui a parlare un po', delle montagne, delle vicende della vita, dei miei libri sul Brenta, del Campanile Basso... Ci salutiamo con un abbraccio spontaneo, poi si incammina lentamente verso casa.
Nel corso degli anni avevo letto i suoi precedenti libri "E se la vita continua", "Arrampicare è il mio mestiere", "2000 metri della nostra vita", quest'ultimo scritto in coppia con l'adorata moglie Fernanda, e infine da quell'incontro torno a casa con "Dare un senso alla vita", con una sua dedica speciale e non solo...
È difficile recensire un libro di un uomo e un alpinista come Cesare Maestri, uno degli ultimi pilastri dell'alpinismo mondiale che ha fatto storia, uno dei "pilastri del cielo", parafrasando il titolo di un libro di Armando Aste, altro grandissimo scalatore e pilastro esso stesso dell'alpinismo dolomitico. Non si tratta di un semplice libro di racconti di scalate in montagna e di imprese al limite dell'impossibile, di questo Maestri aveva già ben scritto nei suoi precedenti libri. Certo, vi sono raccontati eventi di scalate che hanno segnato la vista di Maestri come alpinista e come uomo, ma sono solo il contorno necessario per capire la persona, l'animo e la vita di un uomo che ha dedicato tutto sé stesso alle cime, alle pareti, alle rocce, ma anche agli amici, ai compagni di cordata, ai bambini e ragazzi che ha accompagnato in montagna e alla sua famiglia.
Da tante avventure e da una lunga vita passata ad arrampicare ne è uscito un libro che ripercorre un'intera esistenza tramite il ricordo delle persone più care e tramite le parole di alcune di esse rivolte a Maestri stesso. Sfilano nei ricordi personaggi come Gino Pisoni, che lo iniziò all'arrampicata, Marino Stenico, Walter Bonatti, Bruno Detassis, Riccardo Cassin, Cesarino Fava, Dino Buzzati, Armando Aste, Carlo Claus, Claudio Zeni, Franco Giovannini, Giulio Gabrielli. Ma anche i suoi familiari, la madre e il padre, il fratello e la sorella, la moglie Fernanda, il figlio Gian e la nipote Carlotta, che emerge come un amato appiglio su cui continuare a sorreggere la propria vita.
Un viaggio introspettivo che emerge fra le righe dei racconti e dei ricordi, fra le spiegazioni di alcune scelte (come le salite al Cerro Torre e allo Shisha Pangma), fra le lettere ai compagni di cordata, gli scritti dei "clienti" sul libretto di Guida Alpina, le lettere degli amici e scalatori che hanno accompagnato Cesare Maestri nella sua lunga vita, sia come alpinista che, soprattutto, come uomo. Ed è questo il significato e il senso che emerge da un vero e proprio testamento spirituale del genere sull'alpinismo, come sottolineato nella post-fazione di Spiro dalla Porta Xydias: "
... il ritratto vivo e travolgente di un uomo che sa e che non teme di scrivere di sé stesso e che ci offre lo specchio, insieme personale ed epocale, di un momento grande di quell'attività particolare, nobile e trascendente che è sempre stato ed è tuttora l'alpinismo."
Ripensando alle innumerevoli scalate giovanili di Cesare Maestri e guardandolo negli occhi oggi torna in mente quel suo monito "
si nasce, si vive e si muore, tutto qui...", è così per tutti, ma qualcuno ha il privilegio di non morire mai, anche quando questo momento inevitabile arriverà: non nel ricordo che ha scolpito in chi lo ha conosciuto, anche solo leggendone la vita in un libro come questo; non muore ogni volta che si alzano gli occhi verso una parete rocciosa su cui ha aperto una via e se ne pronuncia il nome o finché chi lo ama parla di lui.
È forse questo il senso e il significato più grande che mi lascia questo scritto: la semplicità e, nel contempo, complessità fisica, intellettiva ed emotiva della vita che possediamo una sola volta e che va vissuta a fondo e con intensità, donando qualcosa di sé agli altri, magari aiutandoli a progredire come fa un capo cordata con il suo compagno, e lasciando di sé un ricordo non solo e non tanto per quanto si è fatto o detto, ma per l'amore che in qualsiasi modo si è riusciti a esprimere, per un amico, una moglie, un figlio, una nipote, una Montagna...
Dalle parole dell'autore:
"... Sono sempre stato assertore del principio secondo il quale ogni alpinista dovrebbe essere libero di andare in montagna come più gli aggrada: di giorno o di notte, con i chiodi o senza, per trovare Dio o negarlo, per conforto o sconforto. Così facendo avremmo tante forme di alpinismo quante sono le persone che vanno per montagne e ogni singola forma non dovrebbe precludere o condizionare le altre. Il sentenziare "quello non è alpinismo solo perché è diverso dal mio" è un gravissimo atto di intolleranza e di presunzione che umilia l'alpinismo intero... Analizzando l'alpinismo ho cercato di scoprire quali fossero i mali che lo insidiano, rendendomi conto che sono gli stessi che insidiano la nostra società e cioè l'intolleranza, l'ignoranza, l'autoritarismo, il bigottismo e la saccenza. Ed oggi, che il limite tra permissivismo e libertà è tanto labile da sconfinare nell'abuso e nell'arbitrio, molte persone per difendere la propria "libertà" dimenticano che essere un uomo libero in mezzo agli schiavi il più delle volte vuol dire essere il loro tiranno. Ed è proprio da questi individui che dobbiamo guardarci, perché chi, in buona o cattiva fede, magari per amore verso l'alpinismo, vorrebbe costringere la disciplina stessa in regole o classismi, non attenta solo alla carica libertaria di questo sport, ma attenta pericolosamente al concetto di libertà per il quale tutti gli uomini di buona volontà si sono battuti e continuano a battersi... Tutti spinti da un unico ideale, fare della società attuale un insieme di uomini con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Per questo io ho arrampicato e arrampico."
Cesare Maestri, alpinista e Guida Alpina.